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#Leggidipiù Myśliwski

 

Non ci crederà, ma io non vedevo l’ora che arrivasse il momento in cui mia madre avrebbe acceso la lampada. Non appena iniziava a calare il crepuscolo fuori della finestra, la pregavo: «Accendila, mamma, accendila!». Non so spiegarmelo, ma volevo che la prima luce ad accendersi in tutto il villaggio fosse la nostra. Mio padre la tratteneva dicendo che ancora non era il momento, che ci si vedeva ancora. I nonni rincalzavano che era uno spreco di petrolio. Mio zio Jan si alzava e beveva un bicchiere d’acqua, la qual cosa poteva significare che non aveva alcun bisogno della luce. Ma dietro gli occhiali, negli occhi di mia madre compariva un sorriso, non so se d’indulgenza e di comprensione verso quelle mie insistenze affinché accendesse la lampada. Quando allungava la mano verso il chiodo sulla parete per prendere la lampada, io schizzavo fuori, correvo verso la Rutka, dove aspettavo che per mano di mia madre avvenisse il miracolo della luce alla nostra finestra. La prima luce di tutto il villaggio alla nostra finestra: mi sembrava la prima al mondo. La prima luce, sa, è completamente diversa rispetto a quando ormai sono illuminate tutte le finestre, tutte le case. Il suo chiarore è diverso, e non importa se viene da una lampada a petrolio o da una lampadina. Anche se è tenue, come quello di una lampada a petrolio, si ha comunque l’impressione che non brilli soltanto, ma che sia vivo. Perché secondo me ci sono luci vive e luci morte. Quelle che illuminano soltanto e quelle che ricordano. Quelle che respingono e quelle che invitano. Quelle che guardano e non riconoscono. Quelle a cui non importa per chi brillano e quelle che sanno a chi fanno luce. Quelle che potrebbero illuminare il mondo intero rimanendo comunque cieche. Quelle che splendono appena ma vedono fino alla fine della vita. Quelle che si fanno strada attraverso le tenebre, alle quali si sottomettono anche le tenebre più profonde. Sono luci che non conoscono confini, tempo, spazio. Sono in grado di richiamare i ricordi più remoti, anche quelli rimossi o quelli dai quali siamo stati esclusi. Non so se è d’accordo con me, ma credo che i ricordi siano la luce di una stella ormai spenta che viaggia verso di noi. Anche se non è altro che una lampada a petrolio. Solo che non sempre è in grado di raggiungerci quando siamo ancora vivi. Dipende da quale distanza proviene la luce e a quale distanza ci troviamo noi. Perché non è la stessa distanza. O magari tutto è un ricordo. Tutto il nostro mondo, da quando esiste. E anche noi due qui, anche questi cani. Un ricordo di chi? Questo non lo so. A ogni modo, quando vidi quella luce capii subito dove mi trovavo. Tanto più che, quando a casa sgranavamo i fagioli, mia madre alzava la fiamma al massimo. E ogni volta chiedeva a mio padre se poteva farlo, anche se sapeva già che avrebbe detto: «Alzala. A noi basta questa, ma i tuoi occhi hanno bisogno di una fiamma più alta». Poi stendeva un telone per terra, al centro di questo telone metteva uno sgabello, su questo sgabello poggiava la lampada, e mio padre usciva a prendere i fagioli. Perciò quando vidi quella luce aumentare d’intensità e rimanere immobile, sapevo che mia madre aveva messo la lampada sullo sgabello e mio padre era uscito a prendere i fagioli. Mi fermai solo un istante davanti alla porta, perché non sapevo che cosa dire una volta entrato. Dopo tutti questi anni nessuno si aspettava più di rivedermi. Che cosa avrei dovuto dire? Per quale motivo ero tornato? Allora venni preso dall’incertezza e pensai: Entro o non entro? E che cosa dico una volta varcata la soglia? La soglia più difficile da varcare, come sa, è quella che ci portiamo dentro. Alla fine pensai che la cosa migliore fosse semplicemente entrare e chiedere se avevano dei fagioli da vendere. Sedevano in circolo intorno alla lampada a petrolio. Mio padre, mia madre, mio nonno, mia nonna, entrambe le mie sorelle, Jagoda e Leonka, e mio zio Jan era ancora vivo. Solo lui si alzò quando entrai e andò a bere un bicchiere d’acqua. Prima di morire beveva molta acqua. Tutti gli altri rimasero immobili con i fagioli in mano. Io stavo accanto alla porta, fuori dal cerchio di luce della lampada, loro invece sedevano sotto il suo riverbero, perciò li vedevo bene. Ma su nessuno di quei volti comparve un sorriso, un’espressione di stupore o quantomeno una smorfia. Mi guardavano, ma era come se i loro occhi fossero morti, solo che nessuno glieli aveva ancora chiusi. Soltanto quei baccelli in mano erano una prova del fatto che stessero sgranando i fagioli. E non mi riconobbero. Ne voleva molti di fagioli? Forse ne ho abbastanza, ma sono da sgranare. Se mi aiutasse, però, potremmo farlo insieme. Non l’ha mai fatto? Non è difficile. Le mostro io come si fa. Imparerà presto. Vado a prenderli.

 

 

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