«Che cosa ho concluso? Ho concluso che bisogna cominciare tutto da capo, perché alla fine oggi ho deciso che io non vi conosco affatto, che ieri mi sono comportata come una bambina, e va da sé la conclusione: ho deciso che tutta la colpa era del mio buon cuore, cioè mi sono autoelogiata, come succede sempre quando si comincia ad analizzare le proprie vicende. Ma per riparare all'errore ho deciso che devo sapere tutto di voi, e nel modo più approfondito. Dal momento che non posso informarmi su di voi se non da voi stesso, dovrete allora raccontarmi tutti i vostri segreti. Ditemi, che uomo siete? Fate presto, su, cominciate a raccontarmi la vostra storia».
«La mia storia!", esclamai smarrito. "La mia storia! Ma chi vi ha detto che io ho una storia? Io non ho una storia...». «Sono completamente senza una storia. Come si dice da noi, ho vissuto per me stesso, cioè completamente solo... Solo, completamente solo, sapete che vuol dire solo?».
«Come solo? Vuol dire che non avete mai visto nessuno?».
«Oh, no, in quanto a vedere le persone, ne vedo, e tuttavia sono solo».
«Forse non parlate con nessuno?».
«Nel senso vero della parola, con nessuno».
«Spiegatemi che tipo siete, spiegatemelo! Aspettate, forse sto intuendo: di sicuro avete una nonna, come me. E cieca e già da tempo non mi lascia andare da nessuna parte, così ho quasi disimparato a parlare. E quando, due anni fa, avevo commesso una birichinata e si era resa conto che non mi avrebbe potuto trattenere, mi chiamò a sé e cucì il mio vestito al suo con uno spillo. E così, da quel momento, stiamo insieme per giornate intere: lei fa la calza, anche se è cieca, e io le sto accanto cucendo o leggendole un libro ad alta voce. Un'esistenza strana, così attaccata con un spillo da due anni...».
«Oh, Dio mio, che disgrazia! Ma io non ho una nonna del genere».
«Allora, se non l'avete, come mai dovete stare a casa?».
«Ma voi volete proprio sapere chi sono io?».
«Certo, sì, sì!".
«Nel senso stretto della parola?».
«Nel senso più stretto della parola!».
«Allora lasciatemi dire: sono un tipo».
«Un tipo? Che tipo?», esclamò la ragazza scoppiando in una tale risata che sembrava che non avesse riso per un anno intero. «È molto divertente stare con voi! Guardate: qui c'è una panchina; sediamoci! Qui non viene nessuno e nessuno potrà sentirci. Cominciate la vostra storia, anche se volete convincermi del contrario, voi avete una storia, solo che la nascondete. Prima di tutto, che cos'è un tipo?».
«Un tipo? Un tipo è un originale, è un uomo ridicolo!», risposi io, scoppiando in una risata, dopo quella infantile di lei. «È un carattere particolare. Sentite, voi sapete che cosa sia un sognatore?».
«Un sognatore? Permettete, ma come si può non saperlo? Anch'io sono una sognatrice! A volte, quando sto seduta accanto alla nonna, quante cose mi passano per la testa! Quando si comincia a sognare, si possono immaginare tante cose, addirittura che sto per sposare un principe cinese... Ma d'altra parte, fa bene sognare! Ma no, Dio mio, soprattutto quando, anche senza sognare, ci sono altri pensieri per la testa», aggiunse la ragazza, assumendo questa volta un'espressione seria.
«Magnifico! Se già qualche volta avete sposato un principe cinese, allora mi potrete comprendere alla perfezione. Dunque, ascoltate... Ma, permettete: io non so ancora come vi chiamate».
«Finalmente! Vi siete ricordato presto di chiedermelo!».
«Ah, Dio mio! Non mi è venuto in mente, anche così mi sentivo felice...».
«Mi chiamo Nasten'ka».
«Nasten'ka! Solo?».
«Solo! Vi sembra poco, siete così insaziabile?».
«Poco? Anzi è molto, molto, moltissimo, Nasten'ka, mia cara ragazza. Fin dalla prima volta voi siete diventata per me Nasten'ka!».
«Che dite? Davvero?».
«Ecco, ascoltate, Nasten'ka, che storia ridicola ne viene fuori».
Mi sedetti vicino a lei, assunsi un atteggiamento serio, da uomo meticoloso, e cominciai a raccontare così, come si scrive nei libri: «Esistono a Pietroburgo, Nasten'ka, alcuni strani angolini, anche se voi non li conoscete. In quei posti sembra che non arrivi quel sole che brilla per tutti gli abitanti di Pietroburgo, ma un altro sole, quasi ordinato appositamente per quegli angolini, e risplende di una luce diversa, particolare. In quegli angolini, cara Nasten'ka, sembra svolgersi una vita diversa, che non somiglia affatto a quella che ribolle intorno a noi, una vita come potrebbe svolgersi nel trentesimo regno di fiaba e non da noi, nella nostra epoca così seria e così dura. Ecco questa vita è un miscuglio di elementi puramente fantastici, ardentemente ideali e, ahimè, Nasten'ka, di elementi banalmente prosaici e abitudinari, per non dire inverosimilmente volgari».
«Oh, Signore Iddio! Che introduzione! Che cosa sentirò ancora?».
«Sentirete, Nasten'ka (credo che non smetterò mai di chiamarvi Nasten'ka), sentirete che in questi angolini vivono degli uomini strani, dei sognatori. Il sognatore, se serve una definizione precisa, non è un uomo ma, sapete, una specie di essere neutro. Si stabilisce prevalentemente in un angolino inaccessibile, come se volesse nascondersi perfino dalla luce del giorno, e ogni volta che si addentra nel suo angolino, vi aderisce come la chiocciola al guscio, e diventa simile a quell'animale divertente chiamato tartaruga, che è nello stesso tempo un animale e una casa. Perché pensate che egli ami tanto le sue quattro pareti, dipinte immancabilmente di verde, affumicate, tetre, annerite all'inverosimile? Perché questo signore ridicolo, quando va a trovarlo uno dei suoi rari conoscenti (e va a finire che tutti i suoi conoscenti si trasferiscono da qualche altra parte), gli va incontro così confuso, così alterato in volto e in preda a un tale turbamento, come se avesse appena commesso un crimine tra le sue quattro pareti, come se avesse fabbricato banconote false, o avesse mandato dei versi a qualche rivista insieme ad una lettera anonima, nella quale dichiara che veramente il poeta è ormai defunto, ma che un amico ritiene sacro dovere di far pubblicare l'opera poetica dello stesso? Perché, ditemi, Nasten'ka, la conversazione tra i due non lega? Perché dalla lingua dell'improvviso ospite e dell'amico titubante non esce fuori una risata o una parolina ardita? Eppure gli piace molto ridere, gli piacciono molto le paroline audaci, i discorsi sull'altro sesso e su altri argomenti divertenti. Perché infine questo amico, probabilmente conosciuto da poco, alla prima visita (perché in questo caso non ve ne sarà un secondo, né vi sarà un altro conoscente a fargli visita) si turba tanto, si irrigidisce, nonostante il suo animo scherzoso (se lo possiede), guardando il viso allarmato del padrone di casa, il quale a sua volta ha già fatto in tempo a smarrirsi ed a perdere completamente la bussola, dopo sforzi eroici, ma vani, per ravvivare e dare brio alla conversazione, per dimostrare da parte sua una certa familiarità con le conoscenze della buona società, per parlare del bel sesso e magari, per condiscendenza, per rendersi simpatico a quel poveretto fuori posto, capitato da lui in visita per errore? Perché infine l'ospite afferra improvvisamente il cappello e se ne va in gran fretta, ricordandosi ad un tratto di un affare estremamente urgente, che non è mai esistito, e in qualche modo libera la sua mano dalle strette ardenti del padrone di casa, che in tutte le maniere cerca di mostrare un pentimento e di rimediare a ciò che sta perdendo? Perché l'amico, appena fuori dalla porta, scoppia in una risata e subito giura a se stesso di non andare più da quell'originale, nonostante che quell'originale sia in fondo un ragazzo delizioso, e nello stesso tempo in nessun modo può vietare alla sua immaginazione un piccolo piacere: quello di paragonare, anche da lontano, i lineamenti del recente interlocutore al momento del loro incontro con il muso di un gattino infelice, maltrattato dai bambini, spaventato, infastidito in tutti i modi, perfidamente imprigionato, del tutto smarrito, che finalmente è riuscito a nascondersi sotto una sedia, al buio, e lì, per un'ora intera, non fa che rizzare il pelo, sbuffare e lavare il suo musetto offeso con le due zampe, e a lungo considererà ancora in modo ostile la natura, la vita e il boccone dal pranzo del padrone, conservato per lui da qualche compassionevole domestica?».
«Sentite», m'interruppe Nasten'ka, che per tutto il tempo mi aveva ascoltato con stupore, con gli occhi e la piccola bocca aperti, «sentite, non so come tutto ciò sia potuto accadere e perché rivolgiate proprio a me domande così ridicole; ma so con sicurezza che tutte queste avventure sono successe proprio a voi, precisamente». «Senza dubbio», risposi con un'espressione serissima in viso.
«Se è così, allora continuate», rispose Nasten'ka, «perché ho tanta voglia di sapere come va a finire».