Ginpei Momoi giunse a Karuizawa sul declinare dell'estate, sebbene sembrasse in realtà che fosse già iniziato l'autunno. Prima di tutto acquistò un paio di pantaloni di flanella che indossò al posto di quelli vecchi, poi una camicia e un golf, e poiché si annunciava una fredda notte nebbiosa comperò anche un impermeabile blu marino.
 
Karuizawa era un luogo propizio per rivestirsi con abiti già confezionati. Trovò anche un paio di scarpe che si adattavano ai suoi piedi e lasciò le vecchie al negozio di calzature. Ma dei suoi vecchi abiti, che aveva avvolto in un foulard, non sapeva che farsene. Se li avesse buttati in una villa disabitata non sarebbero stati ritrovati fino all'estate seguente. Ginpei penetrò in un viottolo e provò a far forza con le mani contro la finestra di una villa, ma era sprangata con assi inchiodate. Non ebbe il coraggio di sfondarla. Gli sarebbe parso di commettere un crimine. In realtà Ginpei non sapeva se fosse braccato come un criminale. Forse la vittima non aveva sporto denuncia. Buttò il fagotto nel bidone per le immondizie davanti alla porta di servizio. Respirò più liberamente. Per indolenza dei villeggianti, o forse per incuria dei guardiani della villa, il bidone della spazzatura non era stato svuotato: spingendo dentro il fagotto sentì un fruscio di umida carta pressata. Il coperchio del bidone rimase sollevato a causa del fagotto. Ginpei non se ne preoccupò. Ma dopo una trentina di passi si voltò. Gli parve di vedere, come in una visione, uno sciame di falene argentee levarsi in volo nella nebbia da quel bidone. Si fermò, pensando di tornare a riprendere il fagotto, ma quel fantasmagorico sciame argenteo lo sorvolò, parve illuminare di una pallida luce i larici per poi dileguare. I larici, allineati in filari, conducevano a un arco illuminato. Era l'insegna di un bagno turco.
 
Entrando nel giardino Ginpei si passò una mano sui capelli: sembravano in ordine. Tutti i suoi conoscenti si stupivano per la sua abilità prodigiosa nel tagliarsi i capelli con un rasoio di sicurezza. Una delle inservienti, soprannominata "la Turca", lo accompagnò nella stanza del bagno. Chiuse la porta a chiave e si tolse il camice bianco. Dal ventre in su non indossava che un reggiseno. Ginpei istintivamente si ritrasse quando prese a sbottonargli l'impermeabile, poi si abbandonò; la ragazza, in ginocchio davanti a lui, lo denudò completamente. Ginpei s'immerse in una vasca d'acqua profumata. Le piastrelle del fondo conferivano all'acqua riflessi verdastri. Il profumo non era particolarmente raffinato ma a Ginpei, che vagabondava fuggendo di locanda in locanda per Shinano, sembrò pur sempre una fragranza di fiori. Quando uscì dalla vasca la ragazza lo lavò completamente. Accovacciata di fronte a lui lo deterse con le sue giovani mani persino tra le dita dei piedi. Ginpei osservò dall'alto quella testa. I suoi capelli, appena lavati, erano sciolti sul collo, come si usava un tempo; le scendevano fin sotto alla nuca.
“Desidera che le lavi la testa?”
“Vuoi lavarmi anche la testa?”
“Certamente… ora lo faccio.”