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Stavamo sfogliando un vecchio almanacco, le cui incisioni rispecchiavano non poche assurde follie della sua epoca. Oggi quell’età ci appare ormai remota quanto un regno di fiaba. Com’era gremito e molteplice il mondo, in quegli anni, prima che l’universale rivoluzione cui la Francia ha dato il suo nome non distruggesse tutte le forme – e adesso, come si è fatto spoglio e uniforme! Secoli sembrano dividerci da quel tempo, e solo a fatica rammentiamo che gli appartennero i nostri anni di gioventù. Dal profondo di queste bizzarrie serbateci dalla mano maestra di Chodowiecki è possibile indovinare l’estremo splendore spirituale di quella età; facilmente possiamo dedurlo dalle ombre di quelli che gli si pararono innanzi, ombre ciclopiche che esso proiettò sulla terra. Quale armoniosa organicità ricca di sfumature, che non si rivelava soltanto nell’aspetto esteriore della società! Ciascun individuo costituiva, per la sua condizione e per il suo vestire, un mondo peculiare, ognuno si stabiliva su questa terra come se fosse per l’eternità e, poiché si provvedeva a tutti, vi erano anche spiritisti e visionari, società segrete e misteriosi avventurieri, cerusici e malati profetici che soddisfacevano l’occulto anelito del cuore a guardar fuori dal chiuso del petto. Se consideriamo la ricchezza di tali fenomeni si fa strada in noi la supposizione che quella generazione si sia approssimata anzitempo a un mondo superiore e – abbacinata dal suo splendore quando l’ebbe svelata a mezzo, spintasi avanti verso l’avvenire che albeggiava, sfidando temeraria l’annientamento di sé – dovette essere incatenata da pressanti angustie al presente, che richiede ogni energia e nel suo lento evolversi ci ricompensa di ogni fatica.
A quanti secoli passati si ricollega, quel tempo, per il tramite d’ogni genere di istituti ereditari, tutti protetti severamente contro qualsiasi cambiamento! Così ad esempio, nella grande città di …. la casa soggetta a maggiorasco dei signori di …., benché inabitata da trent’anni era così perfettamente conservata, in base al dettato testamentario, completa di mobili e arredi, a uso di nessuno e sotto gli occhi di tutti, che nonostante la sua vetustà poteva ancor sempre passare per una curiosità cittadina. Conformemente a quanto stabilito dal testamento, ogni anno una certa somma veniva destinata ad accrescere le argenterie, i serviti da tavola, la quadreria e, in una parola, per tutto quanto può essere necessario all’arredamento di una casa: in particolare, nelle cantine era stata raccolta una gran quantità di vini vecchissimi e pregiati. L’erede del maggiorasco viveva all’estero con sua madre e grazie alla considerevole entità delle sue entrate non risentiva della mancanza dei beni che lasciava inutilizzati in quella casa. In base all’istituto testamentario il maggiordomo caricava tutti gli orologi e dava da mangiare a un certo numero di gatti che dovevano acchiappare i roditori e tutti i sabati distribuiva ai poveri nel cortile qualche moneta da un centesimo. Sarebbe stato facile trovare fra quei poveri, se non li avesse trattenuti la vergogna, i congiunti della famiglia stessa, i cui rami cadetti erano stati del tutto dimenticati all’atto della costituzione del grande maggiorasco. Questo peraltro pareva portare poca fortuna, ché di rado i ricchi proprietari si erano goduti la loro prosperità, mentre gli esclusi dall’eredità guardavano a loro con invidia.


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