Così vivevo con quella zingarella e in realtà neppure sapevo come si chiamava, lei non sapeva e non voleva e non aveva bisogno di sapere come mi chiamo io, così ci trovavamo in silenzio e senza discorsi la sera, non le detti mai le chiavi, lei mi aspettava sempre, a volte la mettevo alla prova arrivando dopo la mezzanotte, quando aprivo subito mi sfiorava un'ombra, e io sapevo che la zingara era già nella stanzetta e dopo un attimo avrebbe sfregato uno zolfanello, acceso la carta, e nella stufa il fuoco avrebbe incominciato a fiammeggiare, a scoppiettare e nutrirsi incessantemente del legno che la zingara aveva disteso sotto le finestre per un intero mese. E anche, mentre mangiavamo in silenzio e accendevamo la lampadina, vedevo come la zingara spezzava il pane, come se in qualche modo stesse ricevendo la Santa Eucaristia, spezzava e poi raccoglieva le briciole dalla gonna e le gettava sacralmente al fuoco. E poi giacevamo sulla schiena e guardavamo il soffitto, dove si muovevano marezzi di ombre e di luci sfocate, la lampadina l'avevamo spenta da un pezzo, quando andavo a prendere la brocca sul tavolo era come se camminassi dentro un acquario pieno di fucacee e alghe marine, come se camminassi per un fitto bosco in una notte chiara, così guizzavano le ombre, e quando bevevo mi giravo sempre e guardavo la zingara nuda, come giaceva e mi guardava, il bianco dei suoi occhi splendeva, ci vedevamo molto più nell'oscurità che nella luce vivida, in generale il crepuscolo, quello era l'unico momento in cui avevo l'impressione che potesse succedere qualche cosa di grande, dopo l'ottenebramento del crepuscolo, che tutte le cose fossero più belle, tutte le vie, tutte le piazze, tutte le persone a sera, quando sono in giro, sono belle come viole del pensiero, addirittura avevo anch'io l'impressione di essere un bel giovane uomo, mi piaceva guardarmi nello specchio al crepuscolo, mi piaceva vedermi camminare nei vetri delle vetrine, addirittura quando mi toccavo il viso con le dita dopo il crepuscolo trovavo che non avevo neppure una ruga né intorno alla bocca né sulla fronte, che col crepuscolo era sopravvenuta nella vita quotidiana l'epoca che viene chiamata bellezza.

Nello sportellino aperto della stufa fiammeggiava il carbone rovente, di nuovo la zingara nuda si alzò, e come camminava, vidi come da tutto il suo corpo disegnato da una linea gialla irraggiava un'aureola, proprio come da tutto l'Ignazio di Loyola cementato dentro la facciata della chiesa a Karlàk. E dopo aver alimentato il fuoco, venne di nuovo a stendersi sopra di me, girò la testa in modo da guardare il mio profilo, e con un dito mi disegnava il naso e la bocca e in generale quasi non mi baciava e neanche io la baciavo, ci dicevamo tutto con le mani, e poi giacevamo e guardavamo i bagliori e i riflessi nella metà del forno di ghisa spaccato, il quale emanava dal proprio interno una luce ricciolina che nasceva dalla morte del legno. Non volevamo ormai nient'altro che vivere così fino all'eternità e all'infinito, come se ci fossimo già detti tutto da tanto tempo, come se fossimo nati insieme e non ci fossimo mai abbandonati.