Abu Qais appoggiò il petto sul terreno umido e il suolo prese a pulsargli sotto: erano i battiti di un cuore stanco che attraverso la sabbia, sussultando, penetravano nelle sue cellule ogni volta che si gettava a terra bocconi, come se il cuore di quella terra, fin dalla prima volta che vi si era sdraiato sopra, avesse continuato ad aprirsi un suo varco dalle tenebre verso la luce. Gli era anche capitato di raccontarlo al suo vicino, contadino come lui, là nel paese che aveva lasciato prima, e l'uomo gli aveva risposto prendendolo in giro: «È la voce del tuo cuore. Quando appoggi il petto per terra, ecco che la senti».

Che sciocchezza e che cattiveria! E l'odore, allora? Quello che lo rivestiva stordendolo e che dalla testa gli si spandeva per le vene? Ogni volta che, giacendovi sopra, annusava il profumo delle zolle, gli sembrava l'odore dei capelli di sua moglie appena uscita da un bagno d'acqua fresca. Proprio quell'odore, l'odore di una di una donna che si era appena lavata con acqua fresca, e che gli si accosta con i capelli ancora umidi, coprendogli il viso. Proprio la stessa pulsazione, come d'un uccellino stretto tra le mani. La terra umida, pensò, era sicuramente ciò che restava della pioggia di ieri. Ma no! Ieri non era piovuto. Dal cielo, ormai, non può piovere che calura e polvere. Hai dimenticato dove ti trovi? Te lo sei davvero dimenticato?

Si rivoltò e rimase sdraiato sulla schiena, le mani sotto la schiena. Cominciò a fissare il cielo: un bianco incandescente, e un uccello nero che volteggiava in alto, solitario. Non capiva perché, si sentì improvvisamente smarrito, estraniato, e per un istante fu sul punto di piangere. Ma no, ieri non è piovuto. Siamo in agosto. Te lo sei scordato? Quella lunga strada verso il vuoto, quell'eternità nera… Te la sei dimenticata?… L'uccello continuava a volteggiare solitario, un punto nero nel bagliore sopra di lui. Siamo in agosto. E allora coma mai questa umidità nel terreno? È lo Shatt! Non lo vedi che si stende a perdita d'occhio, proprio davanti a te?